Articolo del Prof. Bruno Migliorini, linguista, filologo ed esperantista italiano.
Tratto da “Il Presepio” n. 31 del mese di Ottobre 1962.
Il latino aveva ambedue le forme, praesepium e praesepe. Solo questa seconda forma è sopravvissuta attraverso i secoli nell’uso parlato, nel significato che il latino dava alla parola, cioè “mangiatoia”: parecchi dialetti alpini del Piemonte, della Lombardia, del Veneto, i dialetti ladini dei Grigioni presentano ancor oggi (in fonetica dialettale) il tipo il presepe o la presepe nel significato di “greppia, mangiatoia”, e parimenti la parola sopravvissuta in spagnolo e in portoghese.
Ma oltre questo filone di ininterrotta tradizione latina popolare, la parola è stata assunta di nuovo fin dai primi secoli nell’italiano letterario sotto ambedue le forme.
Quindi presepio e presepe si alternano con significato letterale di “mangiatoia”: bastino a mostrare l’oscillazione i due esempi che il Manzoni dà nel Natale:
La mira Madre in poveri
Panni il Figliuol compose,
e nell’umil presepio,
soavemente il pose.
Videro in panni avvolto
In un presepe accolto
Vagire il Re del ciel
In quasi tutti gli esempi che i vocabolari citano, si tratta come qui, della “mangiatoia” di Betlemme.
Anche nel significato più ampio di “raffigurazione di Gesù Bambino nella stalla” (quella che a Firenze si chiama più comunemente “capannuccia” e quella di cui la vostra benemerita associazione intende promuovere il culto), le due forme si alternano: tutt’al più forse possiamo dire che presepio è più comune, presepe un po’ meno.
Ma ambedue le forme sono, sia che ci si riferisca all’etimo latino, sia che si tenga conto dell’uso italiano, perfettamente accettabili.